
Che cosa può dire una scienza recente come la psicologia alla secolare elaborazione del pensiero teologico? In che modo la riflessione psicologica può arricchire la teologia nel suo stesso formularsi e non solo a livello di attuazione pastorale o di «immediato utilizzo» per fare fronte a disagi o problemi patologici? Il testo illustra ciò che la psicologia descrive, si interroga sul peso da dare alle affermazioni psicologiche e su cosa è corretto o scorretto chiedere a questa disciplina, indagando le teorie, i modelli, i concetti di mediazione, vita vissuta, mistero, relazione, motivazione e attività simbolica. Indaga inoltre l’intreccio di emozioni e ragioni, il concetto di maturità affettiva, il mondo conscio e inconscio, la dimensione del male e del bene morale, la salute psichica, la struttura delle relazioni, la soggettività e le nuove prospettive offerte dalle neuroscienze. Il volume si colloca in una collana di testi rigorosi e agili a un tempo, rivolti soprattutto al pubblico di università, facoltà teologiche, istituti di scienze religiose e seminari.
La riflessione sulla formazione permanente in corso nella Chiesa e nelle sue istituzioni educative coinvolge consacrati, presbiteri e laici in una sorta di zona mista – sia teorica che pratica – in cui si cercano gli elementi teologico-spirituali in grado di innescare atteggiamenti psicopedagogici. Questo volume invita pertanto il versante teologico a confrontarsi con quello pedagogico. Le due prospettive si sono distanziate progressivamente, anche sul piano epistemologico: da un lato le scienze deputate per statuto ad affrontare le questioni fondamentali della vita, gli interrogativi essenziali (il senso della vita, della morte, dell’amore, della sofferenza); dall’altro le scienze «ermeneutiche», competenti a spiegare e indicare i cammini esistenziali degli individui, come la pedagogia, la psicologia e la sociologia. Eppure questi due profili non possono restare disgiunti e tanto meno in posizioni conflittuali o poiché un aspetto non può essere compreso senza l’altro. Più che nell’ambito di una pedagogia «metodologica», impegnata a tracciare percorsi ormai collaudati, oggettivi, con tappe precise intermedie e finali, l’autore si muove nello spazio di una...
Secondo Sant’Agostino, la vita pastorale del sacerdote è amoris officium, compito di amore. Eppure, come ha osservato Erich Fromm, l’amore non è «facile per nessuno, qualunque sia il grado di maturità raggiunto». Chi si lascia istruire dalla vita e conosce un po’ se stesso intuisce che l’apprendistato è continuo e che fino all’ultimo giorno possiamo scoprire, spesso con dolore, che restano in noi ripiegamenti egoistici, ricerche occulte, immaturità più o meno assecondate. La prima parte di questo libro è dedicata alla convivenza e all’intreccio di eros e agape, due dimensioni della vita affettiva che vanno coniugate con equilibrio. «C’è stato un tempo in cui ha predominato una tendenza alla negazione o alla repressione dell’eros, trascurando legittime necessità della persona del ministro», osserva Recondo. «Di recente, invece, molte volte si è passati da un eros atrofizzato a un eros ipertrofico che ci predispone a uno sguardo autoreferenziale e a una vita auto centrata». Che cosa significa dunque, nella concretezza del ministero, «amare da pastori»? Risponde a questa domanda la seconda parte del libro, orientata a delineare una formazione del...
«Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati. Ed è così che mi presento. Questo ‘peccatore’ vestito di bianco non ha molto da darvi o offrirvi, ma vi porto in dono quello che ho e quello che amo: Gesù, la misericordia del Padre». Papa Francesco si era presentato con queste parole ai detenuti del rigido carcere boliviano di Palmasola, nel corso del suo viaggio in Sudamerica del luglio 2015. In modo analogo, nell’ormai famosa intervista concessa a padre Spadaro per Civiltà Cattolica, aveva affermato: «Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario». Un pontefice che rivendica il primato dell’esperienza del proprio peccato chiama in causa due aspetti dell’identità sacerdotale: la figura del prete penitente, che vive nella verità la consapevolezza della propria fragilità, e quella del prete confessore, che gode di riversare sul fratello peccatore, né più né meno come lui, la misericordia che egli ha sperimentato. Su questi terreni si gioca oggi il senso profondo dell’identità dei sacerdoti e la stessa riforma del clero che prefigura...
Rivista di studi politici.
Gli scandali sessuali rappresentano per la Chiesa una storia tristissima e una ferita ancora aperta. Per Benedetto XVI i loro autori hanno «oscurato la luce del vangelo a un punto cui non erano giunti neppure secoli di persecuzioni». Ma davvero ora molto è cambiato, come alcuni pensano? In realtà si danno ancora letture banali e difensive e si è ben lontani dall’assunzione di responsabilità comuni e dalla consapevolezza che la corruzione sessuale ecclesiale è di solito l’ultimo anello di una catena di scandali. Il testo si propone di analizzare il senso degli abusi al fine di comprenderne le cause e la dinamica nel contesto di un vissuto celibatario a rischio di mediocrità. Perché una sensibilità è certamente già mutata, soprattutto a livello istituzionale, ma qualcos’altro resiste tenacemente al cambiamento, per esempio l’idea che la colpa sia di qualcuno e non un problema di tutti. Per la Chiesa è necessario inventare qualcosa di nuovo, una proposta di formazione permanente del cuore e della sessualità che accompagni tutta la vita, nei momenti tranquilli e nelle crisi, a livello personale e istituzionale. Perché il cuore dei consacrati impari a vibrare di...
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