
Su Pier Paolo Pasolini
Autore: Roberto Roversi
Numero di pagine: 173Collected essays about Pier Paolo Pasolini.
Collected essays about Pier Paolo Pasolini.
Edipo Re (1967) e Medea (1969) di Pier Paolo Pasolini - due dei massimi capolavori del cinema d'autore italiano degli anni '60 e '70, due film enigmatici, meravigliosi e affascinanti, scritti e diretti da uno dei più importanti e controversi intellettuali del '900. Due film di cui si è scritto e discusso molto, ma spesso a sproposito, superficialmente, lasciando irrisolto e inspiegato il senso di profondo mistero e di vertigine che ne accompagna la visione. Prendendo spunto dall'analisi di Edipo Re e Medea, questo saggio di storia della critica percorre sentieri piuttosto insoliti, al confine con la filologia, l'antropologia e la teoria del cinema vera e propria, raggiungendo risultati del tutto inaspettati che marcano una svolta e un punto di non ritorno negli studi pasoliniani. In questo libro, avvincente e ricco di scoperte e di sorprese quasi come un'indagine poliziesca, infatti, si dimostra ad esempio che: - Pasolini, in realtà, non pensava ai suoi film come a film "di poesia." - Che di questi film, paradossalmente, molte scene unanimamente indicate da tutti come fondamentali, non sono in realtà state analizzate da nessuno. - Che dietro al "sistema" semiologico di...
Poeta, romanziere, critico letterario, saggista politico, sceneggiatore e regista, Pier Paolo Pasolini è stato uno dei maggiori intellettuali del dopoguerra e ha esercitato una profonda influenza sulla cultura italiana. Questa nuova edizione di Pasolini Requiem offre un ritratto completo e inedito del suo genio eclettico e multiforme. Intrecciando l'analisi delle opere e le interviste di amici, ammiratori e detrattori, Barth David Schwartz segue la crescita di Pasolini da poeta di provincia a romanziere di successo, il suo passaggio alla regia , fino a giungere all'enigma ancora irrisolto della tragica scomparsa. Schwartz racconta le incomprensioni e le polemiche con gli intellettuali, spesso sospettosi e prevenuti, ricostruisce efficacemente lo scandalo che destava e le persecuzioni di cui fu oggetto da parte dei media, ne mostra le tante contraddizioni e gli inevitabili abbagli. Emerge l'immagine letteraria e storica di un artista solo nel suo genio, spesso incompreso, comunque profetico.
7 Vedere, Pasolini. Editoriale di Engramma n. 181, a cura di Andrea Cortellessa e Silvia De Laude 13 Alessandro Zaccuri, Il demone del non finito. Pasolini e la pratica della pittura. 19 Luca Scarlini, Pittografie del Verbo. Torsioni figurative della parola, torsioni verbali dell’immagine in Italia negli anni ‘60. 33 Lorenzo Morviducci, Una Roma sentimentale. 45 Arianna Agudo e Ludovica del Castillo, Doppio movimento. La lunga strada di sabbia di Pier Paolo Pasolini e Paolo Di Paolo. 67 Silvia De Laude, “Un romanzo aperto verso l’avvenire”? Sopralluoghi nei dintorni di Una vita violenta. 123 Georges Didi-Huberman, con una nota introduttiva di Andrea Cortellessa, Sintagmi di vita e paradigma di morte. Presentazione di: Georges Didi-Huberman, Sentire il grisou, Orthotes, 2021. 139 Flaminia Albertini, La rabbia di Pasolini. Un film scritto, una poesia cinematografata. 161 Roberto Chiesi, Le ombre immobili. La fotografia nel cinema di Pasolini. 175 Gianfranco Marrone, Traduzione e soggettività. Ancora su Pasolini e il cinema. 199 Davide Luglio, Le cose e le immagini. Dalla transustanziazione del segno alla polisemia della realtà. 223 Corinne Pontillo, Pier Paolo Pasolini e ...
E' un testo che raccoglie alcuni degli interventi presentati durante un ciclo di seminari promosso nel 2006 dal Dams dell`Università della Calabria. Fra i relatori si annoverano studiosi di letteratura: Nicola Merola, Antonio Trinomi; di filosofia: Michael Hardt, Fabrizio Palombi, Paolo Virno; di cinema: Roberto De Gaetano, Marcello Walter Bruno, Bruno Roberti, Tomaso Subini, Alessandro Canadé; di teatro: Valentina Valentini, Vincenza Costantino; di estetica musicale: Carlo Serra. Gli interventi sono tesi a promuovere la discussione sulla contemporaneità di Pasolini e della sua opera, cercano di individuare le tematiche ricorrenti tra letteratura e cinema e indagano sui rapporti che la vasta produzione pasoliniana intesse con altri ambiti come il teatro, la televisione, la musica. Ennesimo tributo a questa straordinaria figura d`intellettuale del ‘900, il ‘Corpus Pasolini’ riesce nel complicato intento di evitare i luoghi comuni, non si ripete, anzi offre nuovi e intriganti spunti di riflessioni e approfondimenti sull`immane opera pasoliniana.
Pier Paolo Pasolini, «poeta dello scandalo», è stato un uomo e un intellettuale libero, che seguiva il filo di un suo pensiero e si muoveva fuori dai recinti, all’epoca esistenti e oggi rimossi per lasciare il posto ad un pensiero sonnacchioso e inconsistente. Questa sua libertà l’ha urlata in versi bellissimi, rappresentativi e fortemente suggestivi: Sui miei compagni disoccupati / Su tutti i popoli schiavi del mondo / scrivo il tuo nome: / Libertà; Se non si grida evviva la libertà con amore / non si grida evviva la libertà, e in pagine critiche e polemiche graffianti e urticanti su temi scottanti come lo stragismo, il consumismo, la televisione, i rapporti tra borghesia e potere politico e persino sulla crisi della Chiesa. L’urlo di libertà ha attirato sul poeta l’ostilità, e talvolta il disprezzo, di intellettuali, politici, giornalisti e gente comune, ma Pasolini non si preoccupò delle critiche e restò «coerente proprio nella sua incoerenza. La coerenza non riguarda i comportamenti, ma i valori che li generano. Pasolini, intellettuale scomodo perché libero, ha avuto il coraggio di andare controcorrente, persino di scandalizzare i moralisti, per scuotere...
Disperato interprete dei mutamenti sociali del nostro paese, Pasolini ha cercato ininterrottamente con la sua opera di comunicare il fondamento della sua eretica trasgressività, ma soprattutto dei suoi sogni impossibili, del suo essere poeta. Con rigore metodologico e impegno analitico, attraverso e alla luce di una puntuale presentazione dei suoi scritti pubblicati in vita e postumi, Martellini sigla un denso ritratto dell'ultimo intellettuale del secolo scorso.
Da quel novembre del 1975 in cui fu ucciso, Pier Paolo Pasolini si è trasformato in un fantasma che si aggira per l’Italia. Da morto, lo scrittore friulano è stato usato da tutti: la destra, la sinistra, i cattolici, gli estremisti, i giustizialisti, i complottisti e i militanti della decrescita felice. Ognuno prende la parte che più gli fa comodo e butta via il resto. È stato detto che Pasolini ha previsto ogni cosa e oggi le sue analisi sono vissute come profezie, ma le sue parole scivolano sulla superficie delle nostre coscienze come balsami. Nessuna abrasione, nessuno scuotimento. Gli schiaffi che dava (e riceveva) sono diventati morbide carezze. Pasolini si è fatto specchio delle nostre brame, ognuno vi si vede più bello e pulito. Nicola Mirenzi appartiene alla generazione di chi non c’era nell’Italia di Pasolini, ma ha «vissuto con lui» perché Pasolini è onnipresente ancora oggi, sotto forma di spettro, icona pop, mito, oggetto di un’operazione di «beatificazione» che nasconde in realtà un atteggiamento superficiale e sostanzialmente indifferente verso la sua opera e le sue battaglie. Nel quarantennale della morte appare quindi impossibile parlare di...
Pasolini è sempre stato considerato autore vicino al popolo, intento a rinnovare gli stilemi del cinema e della letteratura neorealisti, che a partire dagli anni ’60 si andavano sempre più logorando. Attento ascoltatore della cultura popolare delle borgate, è un autore che è sempre stato accomunato ai suoi “ragazzi di vita”, che sapeva descrivere, e quindi amare, nelle loro caratteristiche più singolari e vitali. Ma esiste un Pasolini diverso, “entomologo” della borghesia italiana, classe sociale che, per indole e abitudini di vita, non amava e da cui non era riamato, ma alla quale lo stesso Pasolini apparteneva per nascita, per estrazione e per formazione. È il Pasolini autore di opere capitali come “Teorema”, “Porcile”, “La Divina Mimesis”, “Petrolio”. Come afferma giustamente Riccardo Rosati nella prefazione a questo volume, l’attacco di Pasolini alla borghesia è un attacco “dal di dentro, non dal di fuori”, fatto da un autore che cercava disperatamente una via di uscita ad una entropia che rischiava, complici i mezzi di comunicazione di massa e il sistema politico-sociale e delle infrastrutture dell’epoca, di causare un “genocidio”...
La riflessione pasoliniana sul fascismo è complessa, peculiare, controversa. Complice la natura letteraria del suo linguaggio, Pasolini è diventato in tempi recenti un’autorità ambigua, contesa e rivendicata, a colpi di citazioni, dalle parti politiche più varie. Questo lavoro si propone di affrontare tale ambiguità, comprendendola. Che cosa pensava Pasolini del fascismo, vecchio e nuovo? E che cosa pensava dell’antifascismo e degli antifascisti del suo tempo? Il saggio cerca di rispondere a questi interrogativi calandoli all’interno del pensiero e della poetica dell’autore, a partire dai primi contributi giornalistici degli anni Quaranta, fino a culminare con gli interventi critici e polemici degli anni Settanta. Ne viene fuori una genealogia a tutto tondo della riflessione pasoliniana, che contempla tanto la natura intimamente letteraria quanto l’ispirazione politica della sua prospettiva.
Poeta, scrittore, regista, giornalista e acuto osservatore dei mutamenti sociali, Pasolini ha lasciato un segno in ognuno dei campi in cui ha riversato il proprio talento artistico e intellettuale. Letterati, filosofi, psicoanalisti e studiosi di cinema ne interrogano i diversi volti, lontano da ogni intento agiografico, per cogliere la viva attualità dell’opera e della riflessione dell’autore nelle sue diverse declinazioni. Quale, insomma, l’eredità di Pasolini oggi?
“Ancor oggi più di ieri, e con l’intera opera letteraria edita e il susseguirsi ininterrotto di studi, saggi, polemiche, retrospettive cinematografiche, è sembrato apparirci un Pasolini “sconosciuto”, come fosse risucchiato e appiattito dalla sua stessa innaturale morte e dalla triste sorte toccatagli di vivere in modo postumo in un mondo ormai a lui già incomprensibile. L’affaire “Petrolio” è caso sintomatico di tale condizione. Per l’appunto, scantonando tale prospettiva, e fermando il tempo idealmente a una settimana prima il tragico evento - per intenderci dalla conferenza “Volgar’Eloquio” al profetico monito di “Siamo tutti in pericolo” - è partita l’idea di ricordare e in più tappe, dalle celebrazioni del trentennale del 2005 alla pubblicazione di questo volume, il poeta e regista friulano e lo si è fatto proprio andando a scovare parole che lo raccontassero come altri mai l’avevano fatto. A tal scopo sono stati raccolti contributi, editi e originali, che divisi in capitoli riuscissero in qualche modo a fotografare tutti i campi dell’attività teorica e artistica toccati dalla sua multiforme genialità. Pertanto, il tentativo...
«Mi alzo alle sette, vado a Ciampino (dove ho finalmente un posto di insegnante, a 20.000 lire al mese), lavoro come un cane (ho la mania della pedagogia), torno alle 15, mangio, e poi...» È il 1952, e Pier Paolo Pasolini può dedicarsi alla letteratura solo «poi», nel libero dall’insegnamento. Attorno agli anni ciampinesi di Pasolini e ai ricordi dei suoi alunni e dei suoi amici (Bertolucci, Cerami, Pivano) – quei primi anni Cinquanta in cui nasceva Ragazzi di vita – Meacci costruisce un libro che è al contempo saggio, reportage, diario di viaggio e racconto, e in cui trova posto un’intera teoria di figure del nostro Novecento (e non solo): Totò, Fellini, Hemingway, gli sfollati del dopoguerra, Mizoguchi, il Vangelo, Mantegna, le tradizioni contadine, Simone Martini, il comunismo, Anna Magnani, Goldrake e Happy Days, l’America,Roma, il terremoto del Friuli, la grande poesia, la «scomparsa delle lucciole».
L’insistenza del rapporto tra immagine pittorica e immagine filmica è sempre stata argomento ineludibile per gli studiosi dell’opera cinematografica di Pier Paolo Pasolini. Pensiamo ai saggi o alle monografie di Brunetta, Marchesini, Galluzzi e dello stesso Zigaina.(...) Chi non conosce il tanto citato parallelismo tra il Cristo Morto di Mantegna a Brera e la ripresa in scurto di Ettore morente nel suo letto di contenzione in Mamma Roma? Chi non conosce la tanto dibattuta quaestio dei prestiti figurativi esplicitati da Pasolini nei primi tre film (il Masaccio di Accattone e Mamma Roma, la Deposizione del Pontormo in La ricotta), quasi a titolo di omaggio al magistero longhiano? Ecco pertanto dispiegarsi nel presente volume (...) il tracciato completo del rapporto tra Pasolini e le arti, dall’affezione quasi morbosa per il “colore” nei disegni di gioventù alla “fulgurazione pittorica” d’epoca universitaria, dalla vertenza critica su una personalità controversa come quella del Romanino (1485 ca.-1550 ca.) alla scoperta, sempre di ascendenza longhiana, del manierismo e del barocco, nonché, per li rami, dei dispositivi della contaminazione e del crossover (o,...
I due saggi che qui si possono leggere sono dedicati a fatti che riguardano all’incirca un quinquennio di storia italiana, dal 1974 al 1978. I protagonisti di queste due storie sono intellettuali (Pier Paolo Pasolini), artisti (Andy Warhol e il suo circo), galleristi e critici d’arte rampanti (Luciano Anselmino, Achille Bonito Oliva), gruppi rock di fortune diseguali (dai Rolling Stones ai Gaznevada agli Skiantos). Sullo sfondo di volta in volta c’era un pubblico, una massa, dei giovani, delle “idee”. A volte queste cose coincisero, o si provò a farle coincidere, a volte no. La prima vicenda riguarda una potenzialità inespressa. La seconda vicenda riguarda invece l’espressione di un’impotenza. In comune, le due storie dimostrano un’atrofi a dei mezzi a fronte di una ipertrofi a dei fini.
A trent’anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini, Gianluca Maconi ricostruisce le ultime ore di vita del poeta, la sua aggressione, le prime indagini che mettono in evidenza da subito le contraddizioni del racconto di Pino Pelosi, considerato dalla giustizia italiana l’unico assassino di Pasolini. Ne esce un ritratto umano e vivido del grande poeta, uno squarcio sui suoi pensieri più intimi, la consapevolezza della sua scomodità e, forse, della sua tragica fine.
Ancora oggi, più di ieri, e con l’intera opera letteraria edita e il susseguirsi ininterrotto di studi, saggi, polemiche, retrospettive cinematografiche, è sembrato apparirci un Pasolini “sconosciuto”, come fosse risucchiato e appiattito dalla sua stessa innaturale morte e dalla triste sorte toccatagli di vivere in modo postumo in un mondo ormai a lui già incomprensibile. L’affaire “Petrolio” è stato un caso sintomatico di questa condizione. Pasolini sconosciuto si presenta come occasione unica per affrontare il cinema, il teatro, la poesia, la musica e altri aspetti ritenuti erroneamente secondari e ispirati alla varietà linguistica ed espressiva del poeta-regista nei suoi anni più creativi. Nel libro compaiono scritti e interventi di importanti esponenti della cultura: tra questi ricordiamo Gideon Bachman, Bernardo Bertolucci, Federico Fellini, Goffredo Fofi, Vittorio Gassman, Marco Tullio Giordana, Francesco Leonetti, Carlo Lizzani, Jonas Mekas, Cesare Musatti, Pier Paolo Pasolini, Roberto Perpignani, Enzo Siciliano, Piero Spila, Antonello Trombadori e molti altri.
Questo volume si propone di analizzare la rappresentazione dello spazio e del deserto nel cinema di Pasolini, soprattutto in Edipo re, Teorema, Porcile e Medea. In questi tre film assistiamo a una vera e propria opposizione di spazi: da una parte il deserto “primitivo” e “barbarico”, connotato da colori accesi e corporei, lande brulle in cui si muovono personaggi dalla connotazione demonica; dall’altra, invece, interni di case e palazzi nei quali vive e si muove la classe borghese oppure esterni connotati da colori cerei e freddi, tratteggiati in lucide e rigide geometrie. L’opposizione fra questi due tipi di spazio si trasforma in opposizione fra culture e società diverse: quella popolare e sottoproletaria e quella di ascendenza borghese. Questo confl itto e questa dialettica fra spazi verranno sondati in profondità tentando anche di rivestire di senso nuovo le immagini del cinema pasoliniano, rilevando in esse, da un lato, una forza e una potenzialità ctonie e “magmatiche” e, dall’altro, la capacità di rappresentare la realtà con tinte ceree e distaccate, fredde e allucinatorie.
In questo saggio si cerca di decodificare il linguaggio cinematografico pasoliniano inerente al film I racconti di Canterbury, tenendo presente l’ideologia del regista, il contesto storico all’interno del quale egli ha operato e la sua attività di letterato, poeta, giornalista oltreché cineasta. Di fondamentale importanza per la realizzazione del suddetto lavoro è risultato l’esame dell’opera chauceriana e in particolar modo dei Canterbury Tales, fonte letteraria alla quale Pasolini si è ispirato per la realizzazione del suo film.
La vita e l'opera di Pasolini, la sua passione, il suo coraggio, la sua costante disponibilità a mettersi in gioco, esercitano un richiamo che sembra crescere con il tempo. Il panorama politico e culturale di questi anni - frammentato, confuso, percorso da tensioni dagli esiti imprevedibili - ha bisogno di voci capaci di incidere, se non di convincere. E Pasolini era e resta una di quelle. Questo libro prosegue la ricerca di Moscati dopo gli anni in cui ha conosciuto, frequentato e si è sforzato di capire il poeta, romanziere, regista, scrittore corsaro: protagonista di percorsi, mestieri, esperienze che provano una vitalità sfrenata, drammatica, gioiosa nei giorni migliori (quelli del primo cinema, degli interventi, delle amicizie, dei viaggi), ma anche disperata; e non per vicende personali che pure esistono - e il libro le racconta andando in profondità; bensì per l'isolamento da cui questo artista, ricco di idee per tutti, si sforzava di uscire. Il suo è un «romanzo esistenziale» sacro per dignità e pensiero; e inviolabile patrimonio di chi non lo commemora, ma ne avverte acutamente la mancanza.
Questo numero della rivista "Aut aut" presenta gli articoli di: Davide Zoletto, Raoul Kirchmayr, Michel Foucault, Pier Aldo Rovatti, Damiano Cantone, Massimiliano Roveretto, Massimiliano Nicoli, Giacomo Marramao, Dario Giugliano, Alessandro Mariani, François Jullien, Marco Galati Garritto, Chiara Pastorini.
Se dovessimo individuare una parola chiave per descrivere il presente, verità sarebbe una candidata molto quotata. Assistiamo oggi a un’indiscutibile fascinazione per la verità: escono ogni giorno accorati appelli per ritrovare una verità delle parole, nonché una continua rincorsa a esibire una verità dei gesti e dei sentimenti, dei comportamenti e dei pensieri. Ma come mai in un’epoca definita “post-veritiera” l’influenza del termine verità è ancora così forte? Questo libro analizza alcune immagini che hanno a che fare con la verità, quelle che si sono conformate alla sua presunta immediatezza – a partire dai reality show e dai social network, i grandi dispositivi confessionali di oggi – e soprattutto quelle che l’hanno affrontata in termini critici. Michel Foucault, Pier Paolo Pasolini ed Elio Petri sono le figure principali di questo libro: a loro si devono le riflessioni più significative sulla relazione tra potere e verità, elaborate – sorprendentemente – quasi in contemporanea. Tra la fine del 1975 e l’inizio del 1976, infatti, mentre il pensiero di Foucault conosceva una svolta significativa con La volontà di sapere, Pasolini e Petri...
Il libro propone una interpretazione del ruolo intellettuale e della morte di Pasolini a partire dalla storia del terrorismo politico in Italia. Poiché ormai la letteratura sul terrorismo in Italia è ampiamente nota, la scelta è stata quella di approfondire quella meno conosciuta della regione in cui Pasolini ha trascorso la sua giovinezza e si è formato. Il Friuli Venezia Giulia ha visto svilupparsi, prima che altrove, i fenomeni di terrorismo legati alla guerra fredda. In Friuli la seconda guerra mondiale si è conclusa dopo rispetto alle altre regioni italiane e la guerra fredda è iniziata prima di qualsiasi altro luogo al mondo, con l’invasione jugoslava di Trieste. È in questo clima che muove i suoi primi passi di scrittore Pasolini, la cui lunga carriera, proseguita altrove, verrà interrotta da un omicidio su cui non è stata fatta piena chiarezza, ma che può essere letto come un crimine di matrice politica.
Cosa direbbe Pier Paolo Pasolini dell'Italia di oggi? Cosa resta del più illuminato intellettuale italiano del Novecento? Si applaudono soltanto i luoghi comuni, mentre sarebbe il caso di coltivare l'atrocità del dubbio, dirà proprio Pasolini a Walter Veltroni e ad altri ragazzi comunisti durante un dibattito sulla terrazza romana del Pincio, pochi giorni prima di morire. In prospettiva, non sembra che Veltroni abbia dato retta allo scrittore, e infatti la sua sinistra è morta fra luoghi comuni e conformismo, come si legge in questo libro, un racconto in presa diretta della storia di un intellettuale il cui pensiero è ancora fondamentale per capire il nostro presente. Eppure, col passare del tempo, la sua storia sembra sempre più coincidere con un banale reality criminale e ciò che circonda la sua morte è una sorta di Risiko sui misteri dell'Italia repubblicana. Cosa è successo veramente all'Idroscalo di Ostia quel 2 novembre del 1975? Fulvio Abbate tenta ora la scommessa di una alfabetizzazione storica e civile che coincide con una domanda retorica: ti immagini se Pier Paolo Pasolini vedesse dove siamo finiti?
Alfredo Bini è l’uomo che ha reso possibile il cinema di Pier Paolo Pasolini. Questa autobiografia è la storia di uno dei più grandi produttori cinematografici italiani e il romanzo di una vita vissuta a perdifiato, dall’infanzia sulle colline toscane alla guerra in Grecia e Albania, dalle luci della ribalta dei festival a un oblio inspiegabile e amaro. È un album fotografico in cui si incontrano i volti di Claudia Cardinale e Anna Magnani, di Gina Lollobrigida e Marcello Mastroianni, di Totò e Federico Fellini.Bini univa l’istinto di un rabdomante alla convinzione che un produttore fosse un artigiano rinascimentale. Solo un uomo vorace e visionario come lui avrebbe potuto scommettere che un grande poeta sarebbe diventato un grande regista. Grazie a quell’azzardo nacque il primo film di Pasolini, Accattone, e videro la luce i successivi, dal Vangelo secondo Matteo a Uccellacci e uccellini, fino a Edipo Re. Bini e Pasolini sfidarono la censura, si presero a pugni, viaggiarono in Africa e, insieme, cambiarono per sempre l’immaginario collettivo italiano. Quando il loro rapporto terminò, Alfredo Bini lavorò con Robert Bresson e Claude Chabrol, produsse b-movie...
Nessun intellettuale italiano riuscì a farsi odiare in maniera tanto unanime da destra e da sinistra, dalla Chiesa, dal Partito Comunista, dai benpensanti, dai fascisti e dal movimento studentesco del ’68 come Pier Paolo Pasolini. A quasi cinquant’anni dalla sua morte, la profondità e l’intelligenza della sua opera non cessano di interrogare la società italiana sulle sue contraddizioni di fondo, mentre il suo assassinio resta uno dei tanti misteri oscuri della Storia del nostro Paese.
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