
Primo Levi parlerà assai poco e saltuariamente della sua permanenza in montagna tra i partigiani. Anzi arriverà a definirlo «il periodo più opaco» della sua vita. «È una storia di giovani bene intenzionati ma sprovveduti - scriverà - e sciocchi, e sta bene tra le cose dimenticate». Qual è la causa di un giudizio così severo, accompagnato da un silenzio interrotto solo da alcune pagine di un racconto e da cenni contenuti in opere letterarie e di testimonianza? L’esecuzione sommaria all’interno della banda di due giovani che con le loro azioni minacciavano la sicurezza e la vita stessa del gruppo partigiano può sicuramente aver contribuito. E tuttavia, la ricostruzione puntuale e documentata delle settimane che videro Levi passare dalla scelta antifascista alla lotta partigiana, apre altri scenari, suggerendo un legame di continuità tra la vita partigiana e la lotta per la sopravvivenza ad Auschwitz. Una storia inedita, raccontata per la prima volta a partire da documenti ritrovati, interviste e ricostruzioni d’ambiente.
C’è un avvenimento nella vita di Primo Levi, quando per pubblicare un libro a cui teneva molto, il terzo, dovette rinunciare al suo nome in copertina e procurarsene un altro di facciata, che non è mai riuscito a conquistare l’interesse dei biografi e che forse, invece, merita un po’ più di considerazione, perché costituisce un crocevia esistenziale nella sua avventura umana. Non sappiamo in base a quali strategie personali Levi ritenne più giusto sostenere in pubblico di essere lui il responsabile dello «sbaglio», così lui stesso lo definiva, fatto con le Storie naturali decidendo di firmarle con un nome fasullo. Lo fece però contro ogni evidenza, in contrasto con la logica dei suoi interessi, dal momento che desiderava firmarlo, e smentendo l’evidenza di documenti scritti e le nitide testimonianze degli amici. Servendosi di documenti e dichiarazioni, Carlo Zanda ricostruisce il tortuoso percorso che ha portato uno dei più influenti scrittori italiani del Novecento a scegliere la strada dell’anonimato per la pubblicazione di un’opera in cui credeva molto e che desiderava firmare con il proprio nome. Un mistero che ad oggi non è mai stato risolto.
Nel luglio 1986 Ian Thomson, un giovane giornalista inglese già autore di interviste a scrittori italiani come Calvino, Moravia o Natalia Ginzburg arriva a Torino per incontrare Primo Levi. L’autore di Se questo è un uomo ha quasi sessantotto anni, la barba ben spuntata e gli occhiali con la montatura di metallo. Le maniche della camicia arrotolate rivelano il tatuaggio sull’avambraccio sinistro con il numero 174517 ma nonostante lo spettro di Auschwitz che aleggia per la stanza, Thomson racconta di un uomo serio e dolce allo stesso tempo, che parla con generosità di chimica e alpinismo, editoria e fantascienza, dando vita a una conversazione piena di un’allegria inaspettata. Nove mesi dopo, l’11 aprile 1987, Levi si suicida gettandosi nella tromba delle scale della sua casa di Torino. Un evento tragico in cui si enuclea il più profondo dramma del Novecento. Non solo l’Italia ma il mondo intero è sconvolto dalla perdita di un uomo con “lo spessore morale e l’equilibrio intellettuale di un titano del Ventesimo secolo” come lo definisce Philip Roth. Ian Thomson ha passato più di cinque anni inseguendo parenti, amici o semplici testimoni: annota oltre 300...
«Chi non ha mai scritto versi?... Anch’io, ad intervalli regolari, “ad ora incerta”, ho ceduto alla spinta: a quanto pare, è inscritta nel nostro patrimonio genetico». In realtà, il fare poesia non è stato in Primo Levi un’attività marginale o minore; egli stesso ci racconta come, scampato al Lager, gli fosse venuto spontaneo fissare la tragedia di Auschwitz nei versi che poi avrebbero aperto Se questo è un uomo: «Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case...». Nei testi poetici raccolti in questo volume ritroviamo, come ha osservato Giovanni Raboni, «lo stesso acume morale, la stessa forza di memoria, ammonimento e pietà che rendono sostanziosa, così giusta, così naturalmente memorabile la sua prosa... In Levi lo scatto, l’impulso iniziale di ogni singola poesia nasce dalla ragione, dalla lettura morale della realtà, da quella capacità di capire la propria sofferenza e la propria indignazione come patrimonio comune a tutti gli uomini, che formano la peculiarità e l’insostituibilità della sua prosa».
Nel gennaio del 1945 Primo Levi fu liberato da Auschwitz e da lì intraprese il lungo viaggio di ritorno a Torino attraverso l’Europa occupata dai russi e dagli americani. Vent’anni dopo raccontò quest’esperienza nella Tregua. Tra l’ottobre del 2004 e l’estate del 2005, Marco Belpoliti e il regista Davide Ferrario si sono messi sulle tracce dello scrittore per trarne un film, La strada di Levi. In un percorso a tappe che li ha portati dalla Polonia all’Ucraina, dalla Bielorussia alla Moldavia, dalla Germania all’Austria, hanno visitato i luoghi in cui era passato Levi, documentando quello che vedevano e ascoltando le storie che quei posti e le persone che li abitavano avevano da dire loro. Da questa esperienza è nato anche il volume di Belpoliti La prova: un taccuino di viaggio, un racconto fatto di parole, fotografie e disegni nei luoghi della Tregua per capire l’Europa che sarebbe venuta. Pubblicato con una nuova postfazione a distanza di dieci anni dalla prima uscita, il libro si muove agile tra storia e memoria, tra passato e presente, tra crolli e apocalissi presenti e future, e costituisce anche un modo per entrare nell’opera di Primo Levi attraverso un ...
Il 9 febbraio 1944 il "Corriere della Sera" diede la notizia dell'arresto di Indro Montanelli, accusato di avere scritto articoli diffamanti sul regime fascista, che in quel momento si trovava sul punto di raggiungere il gruppo partigiano guidato da Filippo Beltrami. Incarcerato insieme alla moglie Maggie a San Vittore, a Milano, il 14 agosto riuscì a fuggire in Svizzera. In realtà, Montanelli aveva preso le distanze dal regime fascista sin dal 1938, quando aveva rinunciato alla tessera del partito e ne aveva pagato le conseguenze con l'impossibilità di fare il giornalista in Italia, e quella che inizialmente era una divergenza politica e personale si era sempre più approfondita, sino a trasformarsi nella decisione di combattere attivamente contro il regime e gli occupanti tedeschi. Nel dopoguerra e fino alla sua morte Montanelli è ritornato spesso sulla figura del Duce e sulla storia del ventennio, contribuendo a disegnare nell'immaginario degli italiani l'immagine di un Mussolini perfetto "italiano medio", con tutti i vizi e le poche virtù che il giornalista attribuiva ai suoi connazionali, e che spesso "più che a dominare gli avvenimenti, badava a restarne a galla,...
Racchiusa nell’angusta etichetta del realismo, contrapposto in più occasioni a un non meglio precisato «cinema di invenzione», la poetica di Francesco Rosi rinvia a una storia sola: quella di un Paese, l’Italia del secondo dopoguerra, segnato da crimini, misfatti e misteri ancora oggi indecifrabili. Film come Le mani sulla città, Salvatore Giuliano, Il caso Mattei e Cadaveri eccellenti appaiono ancora oggi esempi insuperati di un cinema al contempo poetico e politico, dove la ricerca espressiva si coniuga con l’impegno civile. I saggi contenuti nel presente volume, che raccoglie gli atti del convegno di studi svoltosi a Verona nel 2017, cercano di offrire nuove strade di lettura per un’opera che, come dimostrano i contributi della terza sezione, in tre occasioni ha trasceso i confini dello schermo per valicare quelli del palcoscenico.
Notes that Primo Levi considered the testimonies of survivors of concentration camps, including his own, as incomplete and unable to grasp and transmit the true nature of that experience. In Levi's view, only those who did not survive might have been able to understand and communicate the true dimension of what happened. In spite of this, until his suicide in 1987, Levi made an effort to convey his experience to others. Speculates that, before the suicide, Levi lost hope concerning the usefulness of his writing in a context of growing indifference to the Holocaust and Holocaust revisionism.
Nelle raccolte Storie naturali, Vizio di forma e Lilít e altri racconti, così come anche nelle storie scritte negli ultimi anni di vita, è evidente l’intento di Levi di servirsi dei miti per dare forza alle proprie narrazioni: non solo ama giocare con i miti tradizionali, ne crea anche di alternativi, facendo convergere la tradizione greco-romana, quella ebraica e la fantascienza di cui era avido lettore. Prometeo, il Golem, Lilít e il centauro: sono queste le figure che ritornano in molti racconti e che per la loro origine mitica sono la porta d’accesso ad un universo di significati antropologicamente pregnante, arricchitosi nel corso di varie elaborazioni storiche. Grazie alla densità semiotica di questi simboli Levi può presentare la propria etica in forma narrativa senza correre eccessivi rischi di semplificazione, esplorando ambiguità e dilemmi della condizione umana. È tempo di rileggere questi racconti d’invenzione. Potrebbero rivelarsi resistenti al tempo tanto quanto i protocolli di Auschwitz.
L'eclisse dell'antifascismoracconta l'intreccio tra storia italiana, paradigma antifascista e memoria della Resistenza e della Shoah. È in questo contesto che il mondo ebraico del dopoguerra ha assunto un ruolo di protagonista della vittoria sul nazismo e della costruzione di una democrazia in Italia. I percorsi che questo volume segue sono tre: la storia politica del nostro Paese, la memoria della Resistenza e del fascismo e la memoria della deportazione politica e dello sterminio ebraico. L'antifascismo, con il suo paradigma di potente forza ermeneutica, ha inglobato il discorso politico, storiografico e memoriale del passato contribuendo a forgiare l'Italia democratica. Un paradigma quello antifascista – e il suo uso politico – non privo di conseguenze anche nell'oggi. Pilastro della narrazione de L'eclisse dell'antifascismo è Primo Levi che, sempre presente nelle tre parti, rappresenta il filo ideale, come modello di momenti diversi di approccio all'antifascismo, alla deportazione e allo sterminio ma anche all'etica e alla politica. Da Se questo è un uomo a I sommersi e i salvati, le parole di Primo Levi accompagnano, scandendole, le pagine di questo libro.
In questa bellissima meditazione, un filosofo dibatte con se stesso quanto alla speranza di sopravvivere, trovandosi nell’impossibilità intellettuale e spirituale di acconsentire a qualsiasi visione ingenua di un altro mondo che dovrebbe essere un...
Quella di Guglielmo Petroni è una delle più coerenti testimonianze di quel travaglio culturale e, dunque, letterario che si ebbe nel dopoguerra. L'intera sua opera trovò motivo e alimento nella memoria della sua esperienza di vita. La realtà, dall'infanzia fino alla maturità, si trasfigurò sempre nel ricordo, che divenne il punto di partenza di ogni analisi del contesto storico e scandì la sua vita, donandole valore. Chiarezza interiore, razionalità del pensare, dell'agire e dell'esprimersi: era la stessa esigenza che lo portò poi all'impegno civile e alla Resistenza. L'arte e la letteratura rappresentarono per lo scrittore lucchese lo specchio in cui si rifletteva e si correggeva il travaglio morale degli uomini. La memoria divenne lo strumento necessario per edificare la propria intima coscienza e per saper valutare, con animo sereno, tutti i momenti importanti di una vita vissuta fino all'ultimo con grande coraggio.
A commentary on the works of writers who survived the Holocaust and wrote about their experiences - e.g. Primo Levy, Jean Amery, Bruno Bettelheim, Nelly Sachs, Paul Celan, interspersed with many quotations from their works. Discusses subjects such as hunger, alienation, the survivor and his literary work, experience and testimony.
Il capitano Jacobs è un buon soldato, rispettoso delle gerarchie, onesto. Improvvisamente nel 1944, assieme al suo attendente, decide di passare, armi in pugno, dalla parte dei partigiani. Sceglie di combattere contro i propri camerati. Perché lo fa? Inseguendo la parabola di quest'uomo viene alla luce una grande storia dimenticata: furono centinaia i tedeschi e gli austriaci a percorrere lo stesso cammino. Un piccolo esercito senza patria e bandiera, una pagina unica nella storia d'Italia. Sui monti di Sarzana, proprio lungo la Linea Gotica, dove nel 1944 i combattimenti infuriavano con maggiore ferocia, il capitano della marina tedesca Rudolf Jacobs, ottimo soldato, abbandonò le proprie fila. Non lo fece per fuggire da una guerra ormai persa, ma per unirsi ai partigiani garibaldini, fino a morire eroicamente durante l'assalto a una caserma delle Brigate nere fasciste. Apparentemente la sua sembra la storia di un'eccezione, commovente e coraggiosa, ma pur sempre un'eccezione rispetto alla nostra idea dei tedeschi zelanti combattenti della Germania nazista, fedeli fino al suo crollo. Eppure questa eccezione non fu così solitaria e isolata: parliamo di centinaia di uomini,...
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